domenica 9 dicembre 2012 ore 10,00 " Visitiamo la città: La Bibbia dei Poveri " a Salerno.



“La Bibbia dei Poveri”
Un racconto per immagini a cura di Paola Valitutti

Le prime immagini cristiane, collocate nelle catacombe, comparvero
intorno all’anno 200. Ciò indica che per circa un secolo e mezzo i
cristiani non sentirono la necessità di realizzare rappresentazioni
figurative di carattere religioso.
Queste prime raffigurazioni sono connotate da un carattere di
gaiezza; i personaggi, assai piccoli, sono graziosi ed eleganti. I
soggetti, che solitamente vengono raffigurati, sono oranti o Buon
Pastori. Tali figure rappresentano l’allegoria dell’anima dei fedeli (gli
oranti) e di Cristo (Buon Pastore). Le scene di martirio come
“Daniele nella fossa dei leoni” o raffigurazioni drammatiche del tipo
la “Resurrezione di Lazzaro” sono realizzate nel medesimo stile
leggero ed elegante. Le immagini, rese con pochi segni, sono

pitture schematiche che non si propongono di dare una descrizione
degli avvenimenti ma si limitano a suggerirli. I cristiani dell’epoca
sapevano interpretare questa pittura, le immagini-segno
richiamavano immediatamente nella loro mente l’episodio a cui si
intendeva alludere. La pittura cristiana si distinse subito da quella
religiosa romana, che rappresentava personaggi mitologici ed
avvenimenti immaginari, riportando, invece, episodi riferibili ad
avvenimenti di un passato storico.
Nel Medioevo, pochissimi sapevano leggere e scrivere, ed era
solitamente il parroco che aiutava i parrocchiani a districarsi nel
“temibile” mondo delle lettere. La Chiesa era, per la comunità, non
solo il centro religioso, ma anche il punto di riferimento per tutto
ciò che afferiva alla vita quotidiana dell’uomo medievale. Quindi per
farsi leggere o scrivere una lettera, interpretare un documento ci si
rivolgeva al parroco. La scarsa conoscenza della lettura diede un
forte impulso ad un’altra forma di comunicazione: la pittura e la
scultura. L’uomo medievale conosceva la religione cattolica sia
attraverso i discorsi del parroco sia attraverso i cicli pittorici e
scultorei che gli raccontavano, per immagini, la Bibbia e vita dei
santi. Egli “leggeva” con facilità le immagini, riconosceva gli episodi
narrati, identificava un santo anche da un solo attributo
iconografico, come poteva essere la chiave portata tra le mani da
san Pietro o la ruota dentata e spezzata sorretta da Santa Caterina
alessandrina.
A queste considerazioni va aggiunto che fu molto importante, fin
dai primi secoli poter celebrare, attraverso la pittura e la scultura, il
ricordo dei santi e dei martiri, visti come difensori ed intercessori
tra il genere umano e Dio.
La produzione pittorica e il significato iconografico e sacrale dei
soggetti rappresentati, spesso legati alla devozione privata dei
committenti, fornisce informazioni circa il culto dei santi che si
praticava in un determinato territorio.
Riferendoci alla città di Salerno si prenderanno in esame i quattro
esempi di pittura medievale, a cui è possibile collegare il culto di un
particolare santo.

Chiesa di Santa Maria de Lama
La cappella intitolata alla Madonna della Lama sorge nel cuore della
Salerno medievale, non lontano dalle mura meridionali.
Viene menzionata per la prima volta in un documento datato
all’anno 1055, e risulta essere di proprietà degli eredi del conte
Giovanni e di quelli del duca Guidone. Il nome "Lama" le deriva
dall'essere edificata in prossimità di una lavina o lama, sorta di
deflusso di acqua piovana o sorgiva.
Nell’architettura della chiesa si distinguono almeno quattro fasi
costruttive: la prima riferibile ad un edificio d’età romana,
preesistente alla chiesa stessa; la seconda corrisponde
all’edificazione del nucleo originario della cappella databile, con ogni
probabilità, tra la fine del X e gli inizi dell’XI secolo, come sembra
suggerire il primo ciclo di affreschi. Ad una terza fase va ricondotto
il restringimento dell’abside originario, mentre ad un momento
successivo va riportata la trasformazione più radicale dell’edificio
con la creazione della chiesa superiore.
Il primo ciclo d’affreschi è costituito da lacerti raffiguranti una teoria
di Santi, il resto è andato perduto nel corso della ristrutturazione
del XI-XII secolo. La prima figura sulla parte nord è san
Bartolomeo, mentre segue sulla parete est una figura non
identificabile dal momento che del nome restano solo le lettere
SCS, abbreviazione di Sanctus. Poco si sa delle vicende terrene
dell’apostolo Bartolomeo. La “Legenda aurea”, di Jacopo da Varazze
(XIII secolo), riporta che egli fu apostolo in India e Mesopotamia e
che subì il martirio in Armenia, secondo un’orrenda pratica, detta
“morte persiana”, che prevedeva lo scorticamento prima e la
crocifissione poi. L’iconografia tipica lo vede come un uomo di
mezza età, con capelli scuri e barba. Suo inseparabile attributo è il
coltello, strumento del martirio. Divenne famoso per la sua facoltà
di guarire i malati e gli ossessi.
Sulla stessa parete, che ospita la figura di Bartolomeo, si trovano le
immagini di una Vergine orante e sant’Andrea con, ai suoi piedi, il
donatore in ginocchio. Probabilmente l’intera rappresentazione,
ossia la Vergine inserita in una teoria di Santi, si richiama
all’iconografia della “deesis” (supplica), tema la cui matrice
culturale bizantina vede la Madonna come intermediaria tra il Figlio
e gli uomini. Solitamente completa la scena un’immagine del Cristo
Pantocratore, seduto su di un trono, in atteggiamento severo e
maestoso, a cui la madre sta rivolgendo la supplica. Tali soggetti si
trovavano, di frequente, nell’iconostasi o nel catino absidale, come
nel caso dell’abbazia di rito italo-greco di Santa Maria di Pattano
(Vallo della Lucania).
Il culto di Sant’Andrea, molto diffuso in costiera amalfitana, in
quanto patrono proprio della città di Amalfi, giunge a Salerno nel IX
secolo, in occasione della deportazione degli “Atraniensis” ad opera
del principe Sicardo. Andrea, apostolo, fratello di Pietro, era
pescatore in Galilea e fu il primo a seguire Gesù. I Vangeli canonici
forniscono scarsi elementi relativi la sua vita. La fonte principale a
cui s’ispirarono gli artisti furono gli apocrifi “Atti di sant’Andrea”,
ripresi da Jacopo da Varagine nella “Legenda Aurea”. Secondo
questa fonte Andrea compì viaggi d’apostolato in Scozia, Asia
Minore e Grecia, predicando e sanando gli infermi. Fu fatto
giustiziare dal governatore romano a Patrasso, perché aveva
convertito la moglie alla religione cristiana. Il santo è per lo più
raffigurato come un anziano barbuto e con i capelli bianchi. Suo
principale attributo è la croce ad “X” o decussata, detta appunto,
croce di sant’Andrea. A volte regge una rete contenente dei pesci o
la fune che fu utilizzata per legarlo alla croce.
Con la costruzione della Chiesa superiore, opera riconducibile agli
inizi del XIII secolo, fu realizzato un secondo ciclo pittorico che
presenta, anche in questo caso, una serie di raffigurazioni iconiche
di santi, racchiuse entro cornici rettangolari. Alcune immagini
appaiono fortemente compromesse da frequenti cadute di colore e
ciò rende difficile la loro lettura ed identificazione. Nell’abside
semicircolare, che si apre lungo il muro est, compare la figura di
santo Stefano individuata dalla scritta “SCS STEPHANUS”, posta ai
lati dell’aureola.
Il santo, ritratto in trono, indossa un abito ricamato ed ornato con
pietre ed orbicoli e regge, con la mano sinistra, un libro che è uno
dei suoi consueti attributi. La mano destra è in atteggiamento di
saluto. L’aureola e la fascia che campisce l’immagine sono decorate
con perline. La volumetria del corpo non appare visibile, in quanto
annullata dall’abito indossato dal Santo, che è caratterizzato da
spesse linee orizzontali. I tratti fisionomici sono quelli di un giovane
uomo, sbarbato e dai lineamenti delicati. I tratti del volto sono resi
con pesanti ombreggiature di contorno che s’ispessiscono nelle
linee intorno agli occhi. L’affresco è stato paragonato ad
un’immagine dell’Exultet della Cattedrale di Salerno, datato al XIII
secolo. Il giovane Stefano apparteneva alla prima comunità
cristiana. Quando la comunità crebbe, gli apostoli affidarono il
servizi di assistenza giornaliera a sette ministri della carità detti
diaconi. Tra questi spiccava il giovane Stefano che, oltre ad
occuparsi dell'amministrazione dei beni comuni, si prodigava
nell'annuncio della buona novella tanto da indurre i giudei a
catturarlo e portarlo nel Sinedrio, dove venne giudicato e
condannato a morte per lapidazione. La festa del primo Martire fu
celebrata sempre il giorno dopo il Natale, perché era tra i "comites
Christi". Solitamente viene raffigurato come un giovane sbarbato e
dai tratti delicati, suoi attributi iconografici, oltre il libro, possono
essere le pietre, talvolta insanguinate, un incensiere e la palma del
martirio.
L’abside rettangolare doveva contenere l’immagine di un Cristo
Pantocratore, di cui attualmente è visibile solo un lacerto
raffigurante un libro aperto ed una cornice con motivi a girali.
Il pilastro di raccordo tra le due absidi ospita la figura, stante, di
san Lorenzo, individuata anch’essa da un’iscrizione. Lorenzo
d’origine spagnola, venne ordinato diacono da Sisto II e
martirizzato a Roma nel 258, poco dopo il martirio dello stesso
pontefice. Secondo la tradizione quando il pontefice fu arrestato
ordinò a Lorenzo di distribuire ai poveri i tesori della chiesa. Non
appena fu eseguito l’ordine, il prefetto romano chiese a Lorenzo di
consegnargli quei tesori ed il santo indicando i poveri ed i malati
disse: ”ecco i tesori della chiesa”! Il prefetto ne decretò la
condanna a morte: sarebbe stato arso vivo su una graticola. Il
santo sopportò con animo sereno la pena, limitandosi ad osservare
“guardate se sono cotto a sufficienza su questo lato e voltatemi e
cocetemi sull’altro”.
L’immagine, molto lacunosa, non presenta nessuno degli attributi
tipici del santo quali la graticola, strumento del suo martirio, la
borsa con i denari, la palma o l’incensiere. Non è raro che i due
santi, Stefano e Lorenzo, siano ritratti insieme. Una leggenda vuole
che il corpo di Stefano rinvenuto nel 415, fosse traslato a Roma e
collocato nella tomba di san Lorenzo, il quale si scostò per fargli
spazio.
Tra i pilastri che corrono lungo la parete nord è raffigurata una
Vergine in trono affiancata da due angeli. L’affresco, molto
danneggiato, rientra nell’iconografia della Regina coeli, si notano
difatti gli attributi tipici: l’asta e lo scettro.
Sull’ultimo pilastro del muro sud si staglia la figura di un santo
monaco, dal volto imberbe e con il capo coperto dalla cocolla. La
figura che parrebbe indossare l’abito dei benedettini circestensi
ossia una tunica bianca con lo scapolare, reca nella mano sinistra
una catena spezzata mentre la destra è in posa benedicente. I
pesanti panneggi dell’abito negano ogni costruzione volumetrica del
corpo. L’immagine può essere identificata con san Leonardo.
L’iconografia ritrae solitamente san Leonardo con l’abito nero o
bianco dell’ordine benedettino, talvolta con la dalmatica dei diaconi.
La tradizione vuole che Leonardo, monaco benedettino, vissuto nel
VI secolo presso la corte di Clodoveo, avesse più volte intercesso in
favore dei prigionieri e per questo motivo, riconosciuto come
patrono dei carcerati, ha come suo attributo iconografico tipico, le
catene spezzate. Spesso viene ritratto, così come in Santa Maria de
Lama, in compagnia dei diaconi Lorenzo e Stefano. Il culto per san
Leonardo è attestato a Salerno ed a tal proposito risulta di singolare
interesse un documento, conservato nel Tabulario dell’Indice
Pergamenaceo Cavese, che ricorda la fondazione di un monastero
circestense (1175-1195) dedicato proprio al santo.
Lo stile pittorico e l’utilizzo di taluni stilemi come le marcate
ombreggiature che segnano i sottili lineamenti dei volti, i pesanti
panneggi e la mancanza di volumetria dei corpi sembrerebbero
ricondurre questo ciclo tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo.
Tale datazione coinciderebbe con la fondazione del monastero
intitolato a San Leonardo e lascerebbe ipotizzare che la diffusione
del culto per questo santo abbia prodotto la costruzione del
monastero nella zona orientale e la dedicazione di un affresco nel
cuore della città.

Cappella di San Pietro a Corte – Ambiente ipogeo
Il principe longobardo Arechi II fece costruire, durante la metà
dell’VIII secolo, il suo palazzo. La struttura dotata di una cappella
dedicata ai Santi Pietro e Paolo, si disponeva su una superficie di
circa 1000 metri quadri.
Dal 1988 l'area è stata oggetto di una campagna d’indagini
archeologiche. Gli scavi, che si sono concentrati essenzialmente
nell’area della cappella palatina, hanno riportato alla luce i resti di
un complesso termale romano, databile al I-II secolo d.C., legato
forse all'attività del porto, su cui, in seguito si sono innestate le
fondamenta della cappella di palazzo. Delle terme si conserva
l'ambiente del frigidarium e parte dei percorsi di accesso all'aula.
Cadute in disuso le terme, già prima che l'alluvione del V secolo
investisse la città, l'area fu destinata a sepolcreto fino al VII secolo;
questa fase è testimoniata dalle sepolture ancora in sito e dalle
numerose epigrafi rinvenute. L'intervento arechiano nell'VIII secolo
sfruttò queste sopravvivenze rafforzando le mura dove necessario e
costruendo due pilastri centrali destinati a sorreggere il solaio della
sua chiesa, che fu costruita al di sopra di questi ambienti.
Nel corso del XII secolo l’ambiente fu trasformato in oratorio.
Riconducibili a questa fase sono due altari, il subsellium e la
decorazione ad affresco. Sul pilastro centrale vi è una bella
immagine della Vergine in trono con il bambino affiancata da una
santa. Tale rappresentazione iconografica, che si diffonde in
Campania tra il X ed il XIII secolo, è caratterizzata dalla presenza
della Vergine con il bambino, mentre cambiano i santi al suo fianco.
L’opera, il cui punto di riferimento è il ciclo di Sant’Angelo in Formis,
è stata attribuita al XII secolo.
La parete meridionale ospita una “Vergine elusa”, immagine della
tenerezza, inserita in una teoria di santi, dei quali non è possibile
specificarne il nome tranne che per san Giacomo, identificato da
un’iscrizione al lato del capo. San Giacomo, apostolo di Gesù, fu
testimone, con Pietro e Giovanni, della trasfigurazione e della
preghiera nell’orto degli ulivi. Dopo essere stato processato a
Gerusalemme, fu decapitato nel 44 d. C. La tradizione medievale
vuole che sia stato sepolto in Spagna a Compostela. L’iconografia lo
ritrae essenzialmente in tre diversi modi. Il primo come apostolo ed
è un uomo maturo, con la barba rada ed i capelli scuri divisi in
mezzo e spioventi come quelli di Cristo. Il suo attributo iconografico
è la spada, lo strumento del suo martirio. Il secondo come
pellegrino, ed in questo caso ha il cappello a larga falda, la bisaccia
ed il mantello. In questo caso l’attributo iconografico è la conchiglia.
Ed infine la terza immagine è quella del “Matamoros”, che lo vede
come santo patrono della Spagna e lo ritrae a cavallo, nell’atto di
calpestare il Saraceno.

Cattedrale di San Matteo
L’interno della Basilica, conserva delle testimonianze musive di
pregevole valore.
Navata Centrale
Il portale centrale della Basilica è sormontato da una lunetta a
mosaico, ascrivibile al secolo XIII, in cui è raffigurato san Matteo.
L’opera, di pregevole fattura, è contemporanea con i mosaici della
zona absidale. Quando Matteo fu chiamato a seguire Gesù, era un
esattore delle imposte a Cafarnao, in seguito pare sia stato inviato
a predicare in Etiopia, dove patì il martirio intorno al 69 d. C.,
mentre celebrava l'Eucarestia. Il nome Matteo deriva da
un'abbreviazione dei nomi Mattia o Matathiah, il cui significato è
"dono di Dio". Le reliquie del Santo, giunte nel Cilento a seguito del
naufragio della nave che le trasportava, giunsero a Salerno il 6
maggio del 954. La tradizione racconta che il giorno della
traslazione del cofanetto d'argento, che conteneva le reliquie, si sia
verificato "il miracolo della manna" e che il corpo santo venne
deposto in una cappella appositamente costruita per l’occasione:
San Matteo de Archiepiscopo. In seguito, con la costruzione della
nuova cattedrale, furono sistemate nella cripta. Da questo
momento in avanti il culto per san Matteo si legherà saldamente
all’evoluzione socio-politica della città di Salerno, contribuendo a
definirne l’identità cittadina e divenendone, in seguito, il protettore
e patrono.
Cappella dei Crociati
L’abside della navata destra fu detta Cappella dei Crociati, perché
durante la visita di Papa Urbano II, fu istituita una confraternita che
si proponeva di raccogliere soldati e fondi per la liberazione del
Santo Sepolcro. Il mosaico che la decora, realizzato negli anni
1258-1266, fu commissionato dal gran Cancelliere Giovanni da
Procida, che si fece ritrarre in ginocchio, in atto penitente. Nella
calotta absidale è raffigurato l’Arcangelo Michele e al di sotto san
Matteo tra i santi Giovanni, Giacomo, Lorenzo e Fortunato.
L’arcangelo è ritratto alla maniera bizantina. Indossa le vesti
dell’imperatore e regge nella mano sinistra il globo crucisegnato,
mentre nella destra stringe la lancia.
Il culto per l’Arcangelo Michele si diffonde sin dai primi anni del
Cristianesimo, in Oriente sia in Occidente. La figura di Michele si
distacca ben presto dall'indistinta moltitudine angelica, assumendo
caratteristiche e connotati che lo contraddistinguono dagli altri
angeli. Nelle sacre scritture il nome dell’Arcangelo Michele, in
ebraico Mi ka’el (= chi come Dio), è il grido di guerra in difesa dei
diritti dell’Eterno e viene menzionato diverse volte. In Daniele
(10,21) Michael è uno dei capi supremi che viene in aiuto del
profeta, mentre in Daniele (12,1) lotta in difesa dei giudei
perseguitati da Antiochio IV. Nell’Apocalisse (12,7-9) Michele e i
suoi angeli combattono contro il drago e gli angeli ribelli.
Nell’Epistola di Giuda è definito, per la prima volta “Arcangelo” e
lotta contro il diavolo per difendere il corpo di Mosè. San Paolo (I
Thess 4, 16) dice: “il Signore al segnale dato dalla voce
dell’Arcangelo scenderà dal cielo”. Nel Vangelo di Giovanni (5,4) ha
funzione di taumaturgo e guarisce gli infermi per mezzo dell’acqua.
Nei manoscritti di Qumran compare nelle vesti di capo dell’esercito
celeste che, insieme agli angeli fedeli, dirige la grande battaglia
escatologica contro il male che porterà al definitivo trionfo dei giusti
sui peccatori. A differenza di Gabriele, angelo dell’Annunciazione, e
Raffaele, compagno di strada di Tobia, Michele non è legato in
maniera specifica a nessun essere umano. Egli, chiaramente, non
ha reliquie né tombe, non ha una vita o gesta da raccontare. In
Occidente prevale, sulla funzione taumaturgica, quella che lo vede
come un guerriero a capo delle schiere celesti.

Chiesa del Crocifisso
La Chiesa, probabilmente edificata nella prima del Duecento, faceva
parte del monastero di "Santa Maria della Pieta della Piantanova".
La struttura della Chiesa è di tipo basilicale, a tre navate terminanti
in tre absidi.
La cripta “riscoperta” solo negli anni cinquanta, mostra un ciclo
d’affreschi, ascrivibili alla fine del XIII secolo, rappresentanti la
Crocifissione di Cristo ed una teoria di Santi. Il primo, di pregevole
fattura, rivela contatti e riferimenti con la pittura di Cimabue,
l’impaginazione dell’opera, impostata su un basamento decorato
con fascioni trasversali, rimanda alle miniature d’epoca svevomanfrediane.
Il dipinto della Crocifissione riporta al centro il Cristo patiens,
iconografia che si afferma in Occidente a partire dall’XI secolo e ai
due lati del braccio della Croce si trovano due angeli colti nell’atto di
raccogliere in una coppa il sangue di Gesù. In basso, ai piedi della
croce, vi sono i due soldati, Stephaton, che porge la spugna intrisa
d’aceto e Longino che trafigge il costato di Cristo con la lancia,
vestiti alla maniera angioina. Secondo la “Legenda Aurea” Longino,
che era cieco, fu guarito dal sangue sgorgato dalla ferita di Gesù. Al
lato di Longino si trova la Vergine sorretta dalle Pie donne, mentre
vi sono tre figure maschili identificabili con Giovanni, Giuseppe
d’Arimatea e Nicodemo.
Nell’abside di destra si trova un altro affresco, di fattura similare,
realizzato qualche anno dopo, che raffigura una teoria di Santi
racchiusi in archi poggianti su colonnine tortili. Le tre figure
rappresentano un santo pellegrino anonimo, san Lorenzo e san
Sisto Papa. Secondo il Liber Pontificalis, Sisto, fu eletto papa nel
257 alla morte di Stefano I. Dopo appena undici mesi di pontificato
fu martirizzato dall’imperatore Valeriano. Dagli scritti di Papa
Damaso si sa che Sisto fu sorpreso nel cimitero, probabilmente
quello di San Callisto, mentre insegnava la parola divina e fu
decapitato con sei dei sette diaconi di Roma (Felicissimo, Agapito,
Gennaro, Magno, Vincenzo e Stefano). Il settimo, il protodiacono
Lorenzo, fu ucciso tre giorni dopo sulla via Tiburtina.

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